Andare in bici, le ragioni del pedalare
photo © Edoardo Frezet, Fuerteventura, Spagna
di Ercole Giammarco
Ieri sera mi sono divertito a inaugurare un nuovo genere letterario: l’auto-recensione.
Sono quasi sempre d’accordo con quello che dico. Figuriamoci con quello che scrivo.
È appena uscito nelle migliori librerie (cosi si diceva negli spot televisivi) un mio libretto, pubblicato da Garzanti “Andare in bici, le ragioni del pedalare”.
Ho cominciato a pedalare a diciassette anni, per riabilitarmi dopo un’operazione al ginocchio. E da allora non sono più sceso di sella: pedalo in città, sull’asfalto infuocato dell’entroterra sardo, fra i bricchi dolomitici, lungo i grandi fiumi europei, ho attraversato l’Italia in bicicletta, organizzato oceaniche pedalate collettive a Milano, gran tour nei parchi d’Abruzzo. Non avevo ancor scritto un libro, su questa mia passione, e l’ho fatto, divertendomi un bel po’.
La bici è come la Nutella, o altre cose di cui sarebbe ineducato parlare, che quando le scopri poi non puoi più farne a meno. E vedendo quanta gente non va ancora in bici ho deciso di contribuire nel mio piccolo a diffondere il Verbo. Il libro è quindi rivolto a tutti, ma soprattutto a quelli che non sono bike addicted, sperando che dopo aver letto le mie paginette lo diventino.
Ho usato l’unico stile che maneggio con una certa agilità, cioè scorrevole e facile come una pedalata in leggera discesa, e ho parlando di molti aspetti del nostro vivere quotidiano in cui la bicicletta è coinvolta (come dice l’Autore “la bici è una risposta molto semplice a problemi molto complessi”). Ma mi sono soffermato particolarmente su uno di questi: andare in bici, oltre ad essere una scelta eco-compatibile, sostenibile (e aggiungete voi gli altri ottantatré sinonimi che oggi vanno di gran moda) è una scelta molto furba, oltre che piacevolissima.
Poi spiego anche (elenco a caso) come non farselo fregare, il prezioso mezzo a due ruote, perché nelle città più civili d’Europa moltissimi la usano al posto dell’auto, quali sono i vantaggi economici, sociali, e di salute per la collettività, perché non è furbissimo usare un auto se puoi inforcare una bicicletta. E dò qualche dritta su come manutenere il potente mezzo, quale modello scegliere e quanto spendere per comprarne una seria (né bici-cancello, né bici-esoterica).
Ercole Giammarco
Soprattutto, cerco di sfatare luoghi comuni: “oggi non uso la bici perché ho fretta”, “andare in bici è più pericoloso che andare in macchina”, “piove, non posso usare la bici”, “ per fare cicloturismo bisogna essere allenati”… e via andare.
Non vi dico come rispondo a queste e ad altre domande sennò il mio libro non lo comprate. Mica sono scemo. Ma vi faccio leggere un pezzetto dell’ultimo capitolo, dove me la prendo con i bikers che pensano di poter usare la strada senza rispettare regole elementari di civile convivenza, “perché stanno salvando il mondo”. Sono i principali nemici della promozione dell’uso della bici, perché con la loro arroganza rendono antipatica tutta la categoria. Cosi, se vi piace il modo in cui è scritto questo breve estratto, e il modo di pensare dell’autore, potete andare in libreria sapendo cosa comprate. Ripeto: solo nelle migliori librerie.
“In Italia c’è la Santa Sede, e l’Italia è stato il Paese democratico col partito comunista più forte del mondo.
Questo spiega perché il pensare laico non sia, in genere, il nostro forte. Dalla nostra guerra civile usci fuori la Democrazia Cristiana e il PCI, mica il Partito d’Azione (di ispirazione laica e liberale). Partito Repubblicano e Partito Liberale si contendevano le briciole del consenso elettorale in una commovente guerra fra poveri.
Ma sto divagando… Insomma, non meraviglia che la bicicletta, in Italia, sia diventata una bandiera delle anime belle che vogliono salvare l’Umanità, sconfiggere il Perfido Sistema Capitalistico, tornare ai Bei Tempi Andati, quando il truce rombo del motore non aveva ancora rubato il posto al nitrito del cavallo (e quando vedevi un figlio morire per una polmonite, perché il progresso, oltre all’auto, non aveva ancora portato gli antibiotici…).
Questo atteggiamento, piuttosto diffuso fra noi ciclisti ha una grave controindicazione: ci rende antipatici. E per un utente della strada ancora in netta minoranza, che, letteralmente, deve farsi strada fra gli altri utenti, non è una cosa bella.
L’arroganza di alcuni automobilisti nasce perché sanno, con le tonnellate di acciaio che si portano dietro, di essere più forti degli altri utenti. L’arroganza di molti ciclisti nasce dal fatto che pensano di essere “dalla parte della ragione”.
Chi usa l’auto in città o è un imbecille o è un poco di buono. Tu non puoi parcheggiare in seconda fila, ma io posso sfrecciare sui marciapiedi. Tu devi inchiodare davanti alle strisce pedonali, ma io posso attraversarle a venti all’ora, zigzagando fra i pedoni. Perché? Perché io, andando in bici, sto salvando il Mondo, e sono una Bella Persona.
È questo il sottotesto di alcuni comportamenti, francamente antipatici, di molti ciclisti. (…)
Sono comportamenti che nuocciono alla Causa, e io, da ciclista della prima ora, vedo in questi miei “colleghi” dei nemici della mobilità sostenibile non meno pericolosi di coloro che usano il suv in città parcheggiando in seconda fila per andare a prendere un gelato. Perché non riusciremo mai a convincere il proprietario di quel suv a inforcare una bici, se gli diamo del pirla e, quasi, del delinquente.”
Da “Andare in bici, le ragioni del pedalare”, Garzanti 2021.
ps. Scrivendo di bici, mi è venuta voglia di curiosare su Itaca on Demand e ho scovato delle storie davvero belle, dove protagonista è la bicicletta. Ve ne segnalo due in particolare: Onboard un reportage della Transcontinental Race, dove il sudore, la fatica e la polvere sembrano uscire dallo schermo, e la raccolta dei tre film dedicati alle imprese dell’ultra-trailer Nico Valsesia che ha usato la bici per misurare e superare i propri limiti.
Andare in bici, le ragioni del pedalare, Garzanti editore