Lettere dall’Himalaya

photo © Martin Jernberg, Himalaya

di Ercole Giammarco

“…sii prudente, e abbi cura di te. Tua madre”

Lettera a Reinhold Messner dalla madre, 27 giugno 1980

 

È strano il destino di una persona che diventa un Mito: la leggenda si sostituisce alla sua vita di uomo, e se la mangia. Come riuscire a vedere Reinhold Messner, il più grande alpinista di tutti i tempi (sì, il più grande alpinista di sempre: c’è poco da discutere), semplicemente come uomo?

L’essere umano che per primo ha scalato tutte le quattordici cime del pianeta che superano gli 8000 metri sul livello del mare, spesso da versanti o in condizioni di eccezionale difficoltà, e facendolo senza utilizzare ausili esterni (equipaggiamento minimo e leggero, senza portatori, né ossigeno: una filosofia alpinistica volta “a non invadere le montagne, ma solamente a scalarle”).

Un ragazzo di 26 anni che durante una discesa dal Nanga Parbat perde il fratello che muore sotto una valanga, perde le prime falangi di tutte le dita dei piedi, e dopo sei giorni riesce ad arrivare, vivo, a un villaggio sul versante opposto della montagna da cui era salito, dove viene gli vengono prestati i primi soccorsi.

Un uomo che con i piedi parzialmente amputati continuerà a scrivere pagine straordinarie di alpinismo fatte di carne e non di tecnologia. Uno scrittore che descrive in pagine indimenticabili le sue illuminazioni mistiche quando solo, stremato, con la morte davanti, non smette di sfidare se stesso sulle cime più impervie del pianeta Terra. Un operatore culturale e un politico che per primo parla in modo radicale di salvaguardia del Pianeta, e trasforma una serie di castelli altoatesini in uno straordinario network di musei della Montagna.

Reinhold Messner, campo base Gasherbrum

Come si fa a capire l’uomo Messner, imprigionato dentro la sua ingombrante mitologia?

Lettere dall’Himalaya ci aiuta a farlo. Fra i tanti libri usciti da Messner e su Messner questo, pubblicato da Mondadori Electa a marchio Rizzoli e in libreria dal 25 maggio, è forse l’unico che ci suggerisce una “via”, diretta ed elegante, per scalare questo monumento dell’alpinismo mondiale e raggiungere la vetta del suo essere uomo.

Scrive l’8 febbraio del 2020, in volo dal Bhutan al Nepal, a Diane Schumacher, la donna che qualche mese dopo sarebbe diventata la sua terza moglie (quaranta anni lei, settantasette lui: evidentemente il Nostro ama la vita spericolata anche oltre le cime): “Non posso più donarti la vetta del Nanga, come Mummery promise a sua moglie nel 1895, ma posso raccontarti molte cose sull’Himalaya. Il tuo Reinhold”.

La cifra di questo splendido libro (davvero splendido, credetemi) è tutto in questa frase: Messner racconta il suo Himalaya a parenti, amici, amanti e nella filigrana di queste lettere si torna a vedere, oltre il Mito, l’uomo.

Reinhold Messner, Sahara

Prendo brani a caso, sfogliando il volume che ho sulla scrivania.

Ci sono pagine dove riflette sull’essenza del suo mestiere, e sulle cose che quel mestiere gli ha insegnato:
“… Non preoccupatevi, non sono un incosciente totale e non mi interessano i percorsi oggettivamente pericolosi, Sono un alpinista, esattamente come potrei essere un contadino o un ingegnere. Cerco la via con il mio istinto, con la mia esperienza; la percorro con la mia forza, con le mie passioni, con la mia volontà […] Durante i miei viaggi, spedizioni ed esplorazioni in montagna ho imparato che il nostro stile di vita non è scontato e unico, anzi, è solo uno fra i tanti. Ho acquisito la sicurezza necessaria per poter fare a meno di tutte le conquiste moderne e i comfort dell’era tecnica. Ma soprattutto ho imparato a distinguere ciò che è importante e ciò che non lo è: spesso era qualche sorso d’acqua, a volte un riparo dove bivaccare, o il ritorno alla mia vita civile”.
Lettera dal campo base del Manaslu 8163 m, 28 marzo 1972

C’è l’emozione, quasi piccolo-borghese, di un incontro ufficiale importante:
“Fresco di doccia e con i capelli tagliati, sono in trepida attesa. Fra un’ora sarò dal Re…”
Lettera da Kathmandu, 14 aprile 1983

E vi troviamo anche il buonsenso venato di ironia di un contadino della val di Funes:
“Trascorrere un’estate relativamente calda spostandosi come un nomade da un pascolo all’altro, passare le notti nella grande tenda nera in pelo di yak, stare tutto il giorno a badare agli animali: un’idea romantica, certo, ma per noi mitteleuropei sarebbe un incubo”.
Lettera da Qiangtang, 28 febbraio 2014

Lascio a voi il piacere di continuare la lettura, che è come incontrare davanti a un buon bicchiere di Lagrein Reinhold Messner, la grande leggenda dei quattordici Ottomila oltre che della storia dell’alpinismo tutta.

Lettere dall’Himalaya, Mondadori Electa a marchio Rizzoli