Partita a scacchi sul K2

photo © Alessandro Gogna, Ghiacciaio del Baltoro, Pakistan

di Alessandro Gogna

 

Le regole dell’alpinismo non sono rigide come quelle del gioco degli scacchi. Non lo sono mai state in 235 anni né, c’è da augurarcelo, lo saranno mai, pena la sua fine. Questo non significa che chi lo pratica o anche chi ne è semplice osservatore non rincorra una sorta di classifica, anzi più classifiche, nel più classico meccanismo degli sport dichiaratamente agonistici. Da sempre la nostra letteratura è piena zeppa di aggettivi numerali ordinali, in genere riferiti a un’ascensione e dunque espressi nella loro forma femminile. Tra questi, l’aggettivo “prima” è il più rincorso e venerato.

Abbiamo avuto e abbiamo la prima ascensione, la prima invernale, la prima solitaria, la prima ripetizione, la prima femminile, la prima senza guida, la prima italiana (francese, spagnola, ecc.), la prima senza ossigeno, la prima in stile alpino, la prima senza bivacco, la prima rotpunkt, la prima onsight, perfino la prima stagionale… e l’elenco è ben lontano dall’essere completo. Ad accentuare il carattere sportivo delle varie discipline si è aggiunto anche il cronometro, tipo la prima sotto le due ore, ecc. Altre varianti: il primo uomo ad aver salito tutti gli Ottomila, il primo concatenamento di X e Y, e così via.

Nulla in contrario all’ansia classificatrice che sembra pervadere ogni aspetto dell’alpinismo e delle varie discipline ad esso collegate. In questo campo ci si avvicina alla perfezione quando si tratta di una competizione di arrampicata su terreno fisso indoor, tipo le tre discipline ammesse alle prossime Olimpiadi. Per tutto il resto però dobbiamo rassegnarci a un notevole, a volte notevolissimo, tasso di imprecisione: fonte di discussioni a non finire, anche perché in alpinismo non c’è alcuna moviola che possa dirimerle.

Questo è il quadro generale in cui si è svolta anche la corsa al K2 invernale, dopo decenni di tentativi. Grazie all’odierna tecnologia abbiamo potuto seguire quasi in tempo reale le vicende che il 16 gennaio 2021 hanno portato dieci grandi alpinisti nepalesi al successo di quest’agognata meta.

Ciò che ha meravigliato il grande pubblico è stato soprattutto il fatto che si trattasse appunto di sherpa, ovvero coloro che, nel comune sapere superficiale, sono ritenuti uomini al servizio dei grandi alpinisti occidentali, niente più che forti gregari. Bene, questa volta i gregari ci hanno dato una lezione stupenda. Di organizzazione, di lavoro di gruppo, di solidarietà (erano due gruppi diversi), di forza, di volontà, di resilienza. E questo è stato infatti l’aspetto della loro impresa che più ha colpito gli esperti e gli addetti ai lavori.

Nel frattempo anche altri avevano lo stesso obiettivo e purtroppo ci sono stati cinque morti dovuti alle cause più varie: Sergi Mingote (spagnolo, 16 gennaio), Atanas Skatov (bulgaro, 5 febbraio), John Snorri Sigurjónsson (islandese), Juan Pablo Mohr (cileno), Muhammad Ali Sadpara (pakistano) dispersi dal 5 febbraio e dichiarati morti il 18 febbraio 2021.

photo Mingma G, K2

In contemporanea con l’ammirazione mondiale all’arrivo fulmineo in vetta, la presenza di altri gruppi di “competitors”, spettatori ma anche un po’ “giudici”, alcuni certamente sconvolti per la perdita dei compagni, nonché il concomitante effetto morboso nell’opinione pubblica per il tragico bilancio delle cinque vittime, hanno favorito lo scatenarsi di polemiche che forse sarebbero nate comunque ma certamente con minor vigore e vita più breve.

Cosa viene imputato ai nostri dieci eroi? Essenzialmente due cose, l’attrezzatura pressoché totale a corde fisse e l’uso dell’ossigeno. Ma vediamo in dettaglio.

Durante le salite estive, l’attrezzatura del K2 a corde fisse è sempre stata “normale” fino al 2008, ma questa non superava mai i 7300-7400 m di quota. Di solito si arrestava alla fine della Piramide Nera, più o meno in corrispondenza del Campo 3. Oltre si proseguiva senza, mettendo un Campo 4 a 8000 m sulla Spalla e poi facendo il tentativo alla vetta. Dal 2008 in poi si è incominciato anche ad attrezzare, almeno parzialmente, anche il tratto al di sopra della Spalla, più precisamente il cosiddetto Collo di Bottiglia e la successiva traversata in diagonale a sinistra. Questo perché sono incominciate le prime spedizioni “commerciali” anche sul K2.
Le corde fisse ovviamente non sono mai state rimosse, e sappiamo bene quanto siano utili anche gli spezzoni più o meno danneggiati. Ci si deve fare attenzione, ma servono.

photo © Lakpa Dendi Sherpa, K2

Per un’invernale tutto questo è amplificato. Questa volta sono state fissate corde per tutto lo Sperone degli Abruzzi, messe bandierine segnaletiche anche nei punti più facili e senza crepacci per raggiungere la Spalla, e poi ancora corde fino al Collo di Bottiglia e sulla traversata, vale a dire più o meno fino a quota 8400. Se consideriamo che l’inizio delle difficoltà è situato più o meno a 5500 metri, e assumendo che la via per arrivare alla vetta di 8611 m valga 3100 m di dislivello, almeno 2900 metri sono stati attrezzati a corde fisse e segnaletica, cioè il 93% del totale.

Tutto il faticoso trasporto dell’attrezzatura necessaria, la meticolosa sistemazione delle corde e la pignola verifica periodica per la manutenzione non sarebbero stati possibili in così breve lasso di tempo senza che i “lavoratori” potessero usare le bombole ad ossigeno.

Dunque ossigeno a manetta per nove di loro, con l’unica eccezione di Nirmal Purja che in effetti non l’ha usato.

Qualcuno si è spinto perfino a dire che l’invernale senza ossigeno di Nirmal non sia stata in realtà una grande impresa perché mai sarebbe stata possibile se lui fosse stato accompagnato esclusivamente da alpinisti che non ne facevano uso!

Quest’osservazione è proprio assai velenosa, ma facilmente rintuzzabile. Se ci mettiamo a fare anche questo genere di distinzioni, allora sarebbero decine e decine gli exploit del passato ad essere messi in discussione. Basti per esempio pensare che, quando Peter Habeler e Reinhold Messner salirono l’Everest senza ossigeno nel 1978 nessuno disse nulla sul fatto che invece i loro compagni di spedizione (che attrezzavano l’Ice Fall, ma anche i tratti duri sopra e sotto il Colle Sud) fossero muniti di bombole! Con questo genere di obiezione, la prima senza ossigeno dell’Everest sarebbe comunque di Messner, ma posticipata a due anni dopo, 1980, quando lui lo salì in solitaria dal versante tibetano.

Se ci si addentra in questioni così spinose si sa quando si incomincia ma mai si sa dove si può arrivare. Ecco perché dicevo all’inizio che l’alpinismo non è il gioco degli scacchi.

E in ogni caso, bypassando le polemiche che più sterili non potrebbero essere, rimane la meravigliosa emozione che i dieci nepalesi ci hanno regalato: l’arrivo contemporaneo, a braccetto filmato a selfie, in vetta: di Dawa Temba Sherpa, Dawa Tenjin Sherpa, Geljen Sherpa, Kilu Pemba Sherpa, Nirmal Purja (Nims Dai), Mingma David Sherpa, Mingma Gyalje Sherpa, Mingma Tenzing Sherpa, Pem Chiri Sherpa, Sona Sherpa.

photo Mingma G, K2